A veduta di insieme, una volta che si è raggiunto il centro della navata, offre una sintonia armonizzante di colori, stucchi e ori; capolavori che intendono invitare il fedele alla pace e a quella comunione con la storia dei martiri, le cui reliquie si conservano tutt’oggi nella Cattedrale.
La decorazione attuale è l’impronta lasciata dalle ultime maestranze. Pertanto la maggior parte dell’impianto risale principalmente al Sei-Settecento. Possiamo solamente immaginare i molteplici rifacimenti che si sono susseguiti nel corso del tempo. Di opere come quelle dell’Orelli, di Bernardo Brignoli e Galliari ad esempio, non rimane nulla. L’unica testimonianza pervenutaci è la grande tela ovale dell’Orelli che raffigura il “Beato Gregorio Barbarigo con i Santi Fermo, Rustico e Procolo” restituita alla Cappella della Comunità Missionaria Paradiso, dopo essere stata per anni nelle sale del Palazzo Vescovile.
Degli affreschi delle volte abbiamo indicazioni grazie ai resoconti del canonico Mario Lupo, il quale fornisce notizie sullo stato dei lavori nel 1762 e 1765-1766. Anni decisivi questi perchè segnati dai festeggiamenti per la beatificazione del Cardinale Gregorio Barbarigo e l’installazione nel nuovo altare delle reliquie dei Santi Fermo, Rustico e Procolo. In questo periodo è certa la presenza in cantiere di numerosi pittori, stuccatori, quadraturisti, falegnami e indoratori. Il primo, Federico Ferrari, dipinge nel 1760 l’episodio della “Manna nel deserto”, nella volta della sacrestia. Nel 1766 compie il “Sansone che fa crollare il tempio dei filistei”; il “Sacrificio della figlia di Jefte”; e “Davide che abbatte Golia”, opere che sostituiscono le precedenti dell’Orelli nel presbiterio e nelle campate della navata.
Volgendoci verso la controfacciata vi sono due affreschi legati alle vicende del Santo Patrono, in particolare l’episodio della sua “Decollazione” e il “Miracolo della resurrezione di un morto” di Giovanni Battista Gariboldi.